Venerdì 13: i film della serie

Venerdì 13:
DVD - Venerdì 13Nato all’insegna di una precisa strategia commerciale volta a sfruttare l’onda lunga del clamoroso successo di HalloweenVenerdì 13 è “il” film che è riuscito, suo malgrado, a codificare e cristallizzare le logiche narrative del genere orrorifico del cinema post 1980. Più sanguinolento del suo illustre ispiratore, il film di Cunningham si lega ad un discorso che, già iniziatosi tra le righe di uno scrittore illustre come Richard Matheson e poi proseguite tra le pagine e le immagini ad esse ispirate di uno Stephen King, aggiorna l’horror alla quotidianità della realtà contemporanea. Non più legati, nell’immaginare le proprie opere, ad ambientazioni classiche come sinistri castelli gotici o magioni sperdute nello zingaresco oriente (luoghi topici dei vecchi horror della Universal e, successivamente, ai deliri coloristici alla Poe di Corman e della sua factory), gli autori del nuovo horror sembrano, da Venerdì 13 in poi, finalmente liberi di portare i limiti del proprio discorso alla descrizione di una precisa realtà sociale perfettamente riconoscibile come propria dallo spettatore in sala. In realtà semi di questo cambiamento epocale sono rintracciabili un po’ ovunque nelle opere precedenti di De Palma o Tobe Hooper (per tacere di Hitchcock), ma è solo con il film di Cunningham che il modello raggiunge la sua codificazione più matura e trova la sua perfetta espressione in un meccanismo già alla sua base propenso alla serialità più marcata (non è un caso che di questo film si siano contati ben nove seguiti con infiniti tentativi, più o meno riusciti di ibridazione e sperimentazione). In realtà, quindi, a guardare l’intera serie come fosse un unico film, un flusso indistinto e continuo di immagini, non si tarderà a rendersi conto che a ripetersi continuamente è solo una cellula tipo (una sequenza strutturata in un modello grafico del tipo inseguimento-sospensione-squartamento) soggetta a continue e fantasiose variazioni. Come a dire che non solo ogni seguito è, in realtà, una specie di remake del film precedente (in una logica in cui le categorie di remake e sequel si fanno indistinte e confuse), ma che anche ogni singola sequenza è, in realtà, il remake della prima scena (girata in soggettiva, come il primo omicidio di Halloween di Carpenter) del primo Venerdì 13 (una delle migliori in assoluto della serie). E in questa prima scena c’è già tutto: l’ineluttabilità dell’assassinio come atto impersonale e necessario e la castrazione della sessualità dei teen-ager (ad essere uccisi sono due ragazzi che si erano nascosti per una sana pomiciata) esemplificazione del puritanesimo sessuale degli anni ’80 americani. Come modello il primo Venerdì 13 ci aggiunge una professionalità di messa in scena innegabile, uno stuolo di attori perfettamente adeguati alla bidimensionalità delle psicologie immaginate dallo script (vi spicca Kevin Bacon in uno dei suoi primi ruoli, presto vittima delle forbici censorie dell’assassino) ed un gusto da B movie ancora oggi godibilissimo.


DVD - Gli altri Venerdì 13 (parte prima)

Venerdì 13 parte II: L’assassino ti siede accanto: Nato sull’inaspettata onda lunga prodotta dal subitaneo successo del primo Venerdì 13L’assassino ti siede accanto poggia tutto su un classico escamotage narrativo da seguito privo di fantasia: il povero Jason che avevamo visto affogare nell’episodio precedente non solo non era morto, come tutti avevamo creduto, ma era stato nutrito dalla madre a suon di latte e delitti. Testimone involontario della decapitazione della genitrice, il malnato ragazzo non aveva avuto altra scelta, quindi, se non quella di sostituire la madre nella mattanza di malcapitati teen-ager. Aperto da un poco probabile omicidio metropolitano, il film vanta la regia esperta di Steve Miner e rivela la sua funzione di piatto sequel-remake del film che l’aveva preceduto. Un soprassalto di originalità si respira nella sequenza del prefinale quando lo spettatore scopre insieme con la sfortunata protagonista l’altare che Jason ha dedicato alla testa ormai mummificata (e all’inguardabile maglione) della madre. In una ridda di incroci ibridati vengono omaggiati sia il primo film della serie che il bellissimo capostipite del genere: Psycho di Hitchcock. Nessun delitto resta impresso nella memoria, ma le scene in cui vediamo l’assassino che ancora non ha trovato il look che l’ha reso immortale (la maschera da hockey) andarsene in giro con un sacco in testa suscita, oggi più di ieri, conati di riso involontario. 

Venerdì 13 parte III: Week-end di terrore: Girato in tre dimensioni, Week-end di terrore si sostanzia di un’ironia metacomunicativa inedita che diventerà, col tempo, una delle cifre stilistiche di tutta la serie. L’effetto tridimensionale ovviamente viene completamente perso al di fuori della sala per cui restano, monche ed improbabili, alcune sequenze costruite appositamente per rimarcarne l’uso insistito (il gioco con lo yo-yo, la ripresa eccentrica sui pop-corn che saltano dalla padella), ma che non hanno quasi senso nella bidimensionalità del tubo catodico. Steve Miner, di nuovo al timone dell’operazione, gioca di spiazzamento ribaltando l’uso delle convenzioni e strizzando continuamente l’occhio alla platea in sala. Il regista moltiplica i punti di vista, prefigura continuamente (grazie al celebre tema musicale di Manfredini) l’ingresso in scena dell’assassino, ma poi mette in campo solo personaggi minori da far uccidere nel momento più inaspettato. Atroce, comunque, il flash-back centrale che funge quasi da cerniera tra la prima e la seconda parte del film. È poco più di un gioco, ma il matrimonio improbabile tra le magie del 3D e gli ambienti squallidi e dimessi della pellicola è originale ed inedito. Fondamentale l’appropriazione da parte del killer della sua maschera da hockey. 

Venerdì 13 parte IV: Capitolo finale: Grazie ai notevoli effetti di Tom Savini, il sedicente capitolo finale della saga, resta uno dei più cruenti dell’intera serie. Jason, qui non ancora zombie sanguinario, incontra finalmente la sua nemesi in Tommy: un bambino appassionato di effetti speciali e fine conoscitore della psicologia dei serial killer disturbati. Joseph Zito non è un gran regista e si limita a giocare di rimessa con le convenzioni del genere producendo un prodotto esteticamente deprecabile, ma con qualche momento di genuino spavento. L’ironia si rivela a tratti fugaci ed ha la pesantezza del pachiderma che si finge farfalla (carina, però, la scena in obitorio). Un film rigorosamente da drive-in con pubblico festante a fare il tifo per l’assassino. Sociologicamente parlando, l’opera resta, comunque, una manna per il critico che cerchi di comprendere la società americana e le sue contraddizioni: censura sessuale, messa in scena assolutamente votata al distacco (lo spettatore in sala non deve mai immedesimarsi con le vittime), propensione al gioco grafico puro e semplice. Peccato che la sciatteria della confezione e la palese mancanza di girato funesti alcune sequenze principali. Psicologia zero anche e soprattutto nei risvolti psicanalitici. 

Venerdì 13: Un nuovo inizio; Tentativo fallito di liberarsi del personaggio di Jason, il film trova il suo punto di forza nell’idea, senza seguito alcuno fino allo Scream del duo Williamson-Craven, che sia la maschera a fare l’assassino e non viceversa. Resa graficamente dalla sequenza d’apertura (in cui è letteralmente la macchina da presa ad indossare la mitica maschera), quest’idea non trova, però, uno sviluppo davvero coerente all’interno di un film per molti versi dimenticabile. Sicché paiono sprecati sia l’ambientazione inusuale (un manicomio molto sui generis immerso nel verde) sia l’interpretazione del giovane protagonista, John Shepherd che imposta tutto il suo personaggio su una fissità rabbiosa abbastanza efficace (finalmente, nella serie, se non un attore almeno uno che ci prova!). Delitti risibili con morte del killer su un fachiriano letto di chiodi. 

DVD - Gli altri Venerdì 13 (parte seconda)

Venerdì 13 parte VI: Jason vive: Esaurite troppo velocemente le poche possibilità drammaturgiche offerte da una saga che ha perso il suo protagonista, agli autori dei nuovi sequel non restava altra possibilità che risuscitare Jason nel modo più spettacolare possibile. La complessa operazione di rianimazione era certo complicata dall’alto grado di decomposizione della salma (l’assasino psicopatico era morto da quasi venti anni stando alla cronologia interna delle varie pellicole), ma non del tutto impossibile se dietro la macchina da presa c’è un regista rutilante di nome Tom McLoughlin. La sequenza d’apertura è un delizioso omaggio ai vecchi film Universal con tanto di citazione diretta al Frankenstein di James Whale (riferimenti ai capolavori della Hammer sarebbero stati, forse, più graditi). L’ironia risiede tutta nel fatto che mentre lo scienziato barone prendeva dove trovava pezzi di cadavere per dare la vita ad un morto qui c’è, invece, un morto che torna in vita (e che vita!) per fare a pezzi i vivi. Il regista gioca sul sovraccarico dei registi stilistici puntando più sulla parodia che sul terrore. Ne viene fuori un film palesemente squilibrato, ma denso di riferimenti cinefili. I germi da cui avrebbe poi preso vita la ridda cinefilica di Kevin Williamson sono proprio tutti qui. Per l’ultima volta Tommy Jarvis è la nemesi del mostro. 

Venerdì 13 parte VII: Il sangue scorre di nuovo: La fantasia comincia a venir meno in questo ennesimo sequel classe 1988. Per dare un nuovo abbrivio alle gesta del maniaco ormai definitivamente zombiezzato non c’era altra soluzione che trovare qualcosa di altrettanto terribile e sconcertante da mettergli contro. In tempi non sospetti, quando ancora i diritti d’autore rendevano impossibile uno scontro tra Freddy Kruger e Jason, ecco allora spuntare dal nulla una temibile ragazza telecinetica i cui poteri sono scatenati da un losco psicologo che, come copione vuole, è più mostruoso dei mostri che contribuisce a creare. La ragazza dapprima fa involontariamente risorgere dalle acque il serial killer non morto e poi si affanna a rispingerlo da dove era venuto. Frattanto la mattanza prosegue con certa precisione. Pessimo dal punto di vista visivo, il film esaspera le dinamiche del genere: mette in campo un mare di coppiette pomicianti per poi castrarne a colpi di mannaia i giusti istinti, si riappropria dei difficili rapporti inter generazionali tra padri e figli, figure d’autorità e desideri di ribellione, ma li chiude in un circolo di disperante povertà di mezzi (economici quanto espressivi). Un B movie assoluto da guardare solo in lieta compagnia, perché a vederlo da soli è di una noia mortifera. 

Venerdì 13 parte VIII: Incubo a Manhattan: Ormai il mito è consacrato: Jason è uno spauracchio, una favola che si racconta ai bambini per farli star buoni e alle ragazze quando si vuole aggiungere un brivido al corteggiamento. Non ci si stupisce più di tanto, allora, se il film prende l’avvio proprio da una coppietta, su una barca al chiar di luna che ripercorre, a mò di scary tale, le gesta efferate del killer. Una breve ed involontaria riflessione sul carattere mitico ed archetipico del personaggio dà, quindi, il “la” alla solita mattanza e anche se ci sembra carina la soluzione adottata nella resurrezione del morto (con la ragazza che scalcia urlante e il povero teen ager impietrito di fronte al mostro con quell’espressione che sembra dire: “Possibile sia stato proprio io a materializzare questo fenomeno abnorme?”), non da meno la pellicola resta assai poco riuscita. L’idea di spostare le gesta del killer dal bosco (così denso di riferimenti al mondo della favola) dei primi episodi, alla giungla di cemento della violenza metropolitana resta funzionale al solo bisogno di aggiornare l’immaginario della pellicola e non dà spazio ad un discorso che si possa dire autenticamente originale. La nuova ambientazione fornisce, però, il destro ad alcune trovate ironiche e permette di escogitare sempre più fantasiosi strumenti di morte. 

Venerdì 13 parte IX: Jason va all’inferno: Dopo New York non resta, al povero Jason, altro che perdere la faccia, o meglio il corpo, dal momento che l’idea di partenza dell’ultimo capitolo, prima del fantascientifico Jason X,  è la strada suicida della trasmigrazione dell’anima malata del serial killer in una mattanza che somiglia tanto a un “acchiaparella” tra bambini in salsa gore. In questo modo, di film in film, a essere sempre più vittima di un meccanismo ludico più grande di lui, è proprio il personaggio partorito dalla mente di Sean S. Cunningham. In questo senso quello che abbiamo di fronte è davvero un film che raschia definitivamente il fondo del pentolone di un discorso filmico assolutamente esaurito. L’impennata narrativo-stlistica di Jason X è così decisamente l’apertura di un nuovo capitolo che culmina, dopo i successi metareferenziali di Scream con la possibilità del crossover fumettistico nientepopodimeno che con Freddy Kruger. Qui, invece, per gli autori ormai condannati alla ripetizione dello schema, non resta altra strada che il gioco del passaggio da un corpo all’altro (in attesa dell’ultima e più vera reincarnazione) per tentare di rinverdire, in modo comunque molto fiacco,  le gesta del killer più amato dai ragazzi. Ma togliere per gran parte del film la maschera da hockey al mostro, e fermarsi in fondo sul solo motivo di novità dei mille corpi dell’assassino non libera il tutto dalla gravosa impressione di deja-vu che respiriamo sin dal secondo film della serie. 

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