Non prende scorciatoie Napoli, 1647 – Rivoluzione d’amore, né accetta troppo facili compromessi con le abitudini di uno spettatore medio in cerca di emozioni a buon mercato da comprare un tot al chilo sulle bancarelle sempre più povere del teatro.
Piuttosto si mette sulla strada di un voto di castità in cui alla voluta contrazione dei mezzi espressivi messi in campo dovrebbe corrispondere un aumento esponenziale della loro capacità di incidere e graffiare sul Reale e sulla Storia.
Ed è da dire che l’inizio dello spettacolo è subito all’insegna della grande suggestione, con l’attrice, Ilaria Delli Paoli, che entra nella scena buio facendo luce con appena il lumicino di una candela, mentre recita, come nenia incantatrice, una preghiera rivolta alla madonna.
Sin da subito lo spettacolo dichiara una sua stretta parentela con il buio tutto intorno.
Gli si dice quasi fratello e cerca, tra le sue spire di silenzio, gli spazi giusti per spingere lo spettatore oltre le colonne d’Ercole della veglia, verso un mondo di sogno o, ancor più, di incubo.
Lo spettacolo è così, nella sua ritualità allusa e accarezzata, una vera e propria evocazione di fantasmi. Vere e proprie larve che dal buio emergono per nel buio subito ritornare non appena un fiato meno benigno e più rabbioso spezza quella luce che li aveva strappati al nero di un sipario senza stoffa. E la parola che li fa nascere dal silenzio è flebile e tremolante come la fiammella di una candela votiva, che sembra stanca di raccogliere ancora suppliche ad ogni accendersi di fiammifero.
Bella idea, a pensarci su, per raccontare, attraverso la voce della moglie, le contraddizioni dolorose della rivoluzione di Masaniello, figura emblematica di una fame di libertà che è stata rimangiata dai potenti che ne hanno fatto poi l’uso a loro più comodo. Bella soprattutto per metterci di fronte alla volubilità delle masse che portano alle stelle ciò che riporteranno alla polvere il giorno successivo, incapaci a seguire un’idea, ma sempre pronti a chinarsi alla maschera che grida più forte e con maggiore presa.
Ed è bello, Napoli, 1647 – Rivoluzione d’amore, soprattutto per il suo imporre al pubblico il suo tono, senza blandirlo con facili sottolineature tecnologiche. Sicché l’assenza di luci di scena e il rifiuto di ogni forma di amplificazione portano lo spettatore a desiderare di farsi tutto buio e silenzio per non disturbare quel fantasma che piange e prega, che urla e ride e che, nel raccontarci la sua storia d’amore che finisce nei bordelli a portare piacere a quegli spagnoli che comunque ti pisciano addosso, si sente urgente e forte.
Bello, ma rischioso a dirla tutta. Perché un inizio così suggestivo, così figlio della notte, tende ad appiccicartisi addosso per la sua magia arcana e spaventosa prima ancora che per il suo significato bellissimo e politico. Con il pericolo, per lo spettatore, di accorgersi della bellezza delle parole che ci stanno sotto troppo tardi, quando il racconto ha già preso il largo e si ha l’impressione di poterlo ormai seguire solo dalla riva.
Un rischio che fa parte del gioco e che diventa invisibile quando lo spettacolo trova il suo giusto equilibrio tra parola e gesto scenico, tra buio e silenzio.
Rispetto alla replica di sabato al Bertolt Brecht possiamo dire che i tempi dello spettacolo sono apparsi forse un po’ troppo serrati, e che l’attrice, incredibilmente empatica con il suo ruolo e capace di mille sfumature tutte belle e tutte giuste, avrebbe guadagnato in certi punti nel dilatare l’espressione lasciando respirare il testo sotto la splendida melodia della sua voce.
È questa un’impressione d’esecuzione perché davvero e in ogni momento non sembra esserci dubbio che lei sia lo strumento perfetto di questo brano per voce sola.
Del resto la scenografia, minimale e pura, con il solo impaccio di una croce in centro scena che è usata troppo poco per l’importanza delle sue dimensioni, è per lei stupendo basso continuo ricco di possibili armonie.
produzione Compagnia Mutamenti – Teatro Civico 14
NAPOLI 1647 – RIVOLUZIONE D’AMORE
scritto da Marilena Lucente
regia di Roberto Solofria
con Ilaria Delli Paoli
scene di Antonio Buonocore, costumi di Ortensia De Francesco