Chiudere gli occhi. E lasciare che la notte artificiale delle palpebre, chiuse sulla coscienza, si riempia delle evanescenti figure del ricordo. Nelle sue contraddizioni. Nei suoi miti. Nelle sue forme da sogno. Fino a che –come ci insegna Woody Allen nel più magico dei suoi film- non si sa più se un Ricordo è qualcosa che si ha o qualcosa che si è perduto.
Questo ha fatto Giorgio Bassani; ha chiuso gli occhi di fronte all’angoscia della pagina bianca e ha lasciato parlare il passato, con la sua voce spezzata da silenzi, come per gli accordi cadenzanti di un pianoforte lontano, di digiacomiana memoria.
Perché non è possibile capire il presente senza un passato alle spalle. Per quanto doloroso esso sia. E non basta un colpo di spugna a cancellare come d’incanto quelle brutture che si vuole chiamare “sbagliate” e che sono, invece, semplicemente scomode. Tanto più se ad un certo punto il racconto finisce per confondersi con la Storia.
Tutto questo alla ricerca della verità del Cuore che si scopre, con incanto, essere appena poco più di una manciata di consapevolezza di quanto è accaduto prima di adesso; un sogno (o un incubo) su cui costruire un altro sogno. Sempre in cerca di quella pace che solo le tombe, mute nel paesaggio, sembrano indicarci a distanza e che solo un cuore di bimba può aprire al presente con il suo invito al racconto. Amando chi è vissuto (non importa a che distanza da noi) per il solo fatto di essere vissuto.
Questo Giorgio Bassani! Che abbia potuto ispirare il cinema con le sue pagine (De Sica: Il giardino dei Finzi-Contini, Montaldo: Gli occhiali d’oro, Vancini: La lunga notte del ’43); che abbia scoperto Il Gattopardo aprendo quel caso letterario culminato col capolavoro di Visconti; che abbia, poi, scritto per il cinema (accreditato e non), sceneggiature per film o documentari, ha poca importanza di fronte al monito che la sua arte tutta e la sua esistenza hanno lasciato. Profondo e remoto come una tomba etrusca nel paesaggio a balze dell’alto Lazio.
In questo modo vogliamo amare Bassani, non solo per quanto ha dato alla letteratura e al cinema, ma perché a voluto condurci per mano nella vita, aiutandoci a capire un po’ di più noi stessi e gli altri.