Quando in un film, per qualche breve momento, entra in colonna sonora un brano musicale del passato, ha luogo, nella mente dello spettatore consapevole un fenomeno strano ed affascinante. Si attiva una sorta di processo semantico, un reciproco richiamarsi tra brano musicale e sequenza cinematografica, che, in alcuni momenti, somiglia al contrappunto, ma che comunque non lo è in senso stretto, nè può sperare di esserlo. Una ridda di ricordi, di nozioni mezzo apprese e appena coscienti sulla composizione che si sta ascoltando, si sovrappongono alle scene che scorrono sullo schermo attivando un vero e proprio corto circuito di senso. Chion chiama questa sorta di gioco mentale, questo scambio reciproco tra idee diverse: Contrappunto didattico.
Minority report sorprendentemente gioca a più riprese con questa tecnica. Il primo esempio, il più geniale, lo costruisce mediante l’utilizzo spregiudicato della Sinfonia numero 8 in si minore di Franz Schubert. Questa musica, composta intorno al 1822 (una delle summe del pensiero musicale occidentale), compare all’interno del film nelle due scene in cui Anderton ricompone e rimonta le immagini dei delitti annunciati dai precog. Si tratta di una sinfonia incompiuta (di qui il suo epigrammatico titolo: Incompiuta) e il fatto che essa sia accostata all’immagine delle immagini (il gioco e’ già qui vertiginoso) di delitti che non hanno ancora avuto luogo da’ origine a un primo corto circuito di senso.
La musica schubertiana è un’altissima riflessione sul destino dell’Uomo, sul senso di predestinazione fatale che sembra iscriversi su ogni sua azione scolorendo l’idea di ogni tipo di libero arbitrio. Questa visione tragica trova la sua perfetta espressione gia’ nel livido motto introduttivo scolpito dai bassi, funereo come un sinistro presagio, e si conferma nell’agitazione del primo tema dell’esposizione: una melodia di oboi e clarinetti adagiata su un nervoso disegno degli archi. Il secondo tema, per contro, si apre, come una sorta di oasi felice (la tonalità è sol maggiore), con movenze da landler che parlano di una felicita’ malinconicamente perduta e con la melodia inizialmente affidata interamente agli archi gravi e punteggiata da brevi accordi delicati dei fiati. Quando i violoncelli e i contabbassi sono sostituti dai violini la felicita’ sembra di colpo farsi a portata di mano, ma proprio allora il tema si avvia inesorabile verso la tragedia con strappate tremende che fanno fremere l’orchestra e che preludono alla tormentata sezione di sviluppo del primo movimento.
In entrambe le visioni dei precognitivi la musica non segue l’ordine cronologico della sinfonia, ma si apre, invece che con il primo, con il secondo tema dell’esposizione. Nella visione del primo delitto la cosa si avverte solo superficialmente (grazie anche ad uno stacco di montaggio che ci porta per un momento fuori della sala delle indagini) e si puo’, comunque, spiegare con il fatto che, nella logica sinfonica, l’intera sezione espositiva viene ripetuta senza varianti prima della sezione di sviluppo, per cui lo spettatore potrebbe pensare di aver ascoltato il secondo tema dell’esposizione e, conseguentemente, il primo tema della ripresa.
L’impressione che se ne ricava, quindi, è di normalità nell’anormalità: la musica segue la sua logica temporale, ma ci appare distorta perché il montaggio ci sposta da un luogo all’altro durante l’esecuzione. L’idea dell’inversione, pero’, a ben vedere, ci riporta immediatamente all’idea di una societa’ che sovverte la logica che lega il delitto al castigo e che reinterpreta, su questa base, tutti i valori costituiti. In ogni caso, comunque, la musica mantiene, rispetto al racconto, una posizione oggettiva ed extradiegetica, è un puro brano di scena e comunica essenzialmente un astratto passaggio dal sereno al tragico. Essa ha, quindi, lo stesso andamento che determina l’unico flash-back/sogno del protagonista, quello dell’improvvisa sparizione del suo unico figlio che e’ la molla segreta e dolente dell’intreccio dal momento che determina sia l’entrata del personaggio nelle fila della sezione precrimine, sia l’elemento attraverso cui si cercherà di incastrarlo. Questo suo dramma privato va miracolosamente a rispecchiarsi con il dramma di Agatha in una simmetria perfettamente musicale: il padre ha perso un figlio e la figlia ha perso una madre.
Non e’ un caso, allora, che (secondo questo passaggio dal pubblico al privato) giunto a casa, Anderton sia accolto, prima di vedere le immagini del suo bambino, dalla musica di un’altra sinfonia (anch’essa paradossalmente in si minore) la Sinfonia numero 6 Patetica di Cajkosky (qui un valzer: secondo movimento allegro con grazia): un’altra sinfonia del destino (la più nota), un’altra opera che narra con le sue volute melodiche il doloroso scontro tra l’Uomo e il suo Fato.
Ma è la seconda visione dei precognitivi quella che attiva il più fecondo contrappunto didattico. Nell’inserire il brano schubertiano all’interno di questa sequenza, infatti, il regista è costretto a modificarlo per adattarlo al decorso drammatico degli eventi narrati. Qui Spielberg non si limita a tagliare la musica, ma la rimonta secondo una cronologia tutta personale nello stesso modo in cui le visioni dei precog non seguono una logica cronologica, ma si susseguono per assonanze drammatiche e di immagine. Anche in questo caso la musica comincia con il secondo tema che prosegue fino ad un attimo prima che esso confluisca nelle strappate icastiche e tragiche della sua stessa coda. Il discorso lineare si interrompe, a questo punto, su una sospensione che, inaspettatamente, porta alla ripetizione (di nuovo) del secondo tema che sfocia innaturalmente nella coda assai drammatica del primo tema. Una nota tenuta, assurda ed incongruente, del fagotto lega illogicamente la conclusione del primo tema al motto introduttivo (che si sente qui per la prima volta, mentre nella sinfonia esso e’ il motore di tutto aprendo l’esposizione, determinando lo sviluppo e costituendo il materiale della coda finale del primo movimento) e, successivamente all’esposizione completa del primo tema fino alla sua cadenza che corrisponde, in perfetto sincrono, con la fine della sequenza stessa. La musica che resta extradiegetica (vediamo Anderton attivare il registratore) si comporta, pero’, ambiguamente, come fosse diegetica, adeguandosi al ritmo degli eventi. Essa, quindi, cessa di essere oggettiva per legarsi allo sguardo del personaggio. Se nella prima scena la sua oggettività distorta sanciva la fede assoluta di Anderton al sistema (che pure la musica stessa indicava come assurdo), nella seconda scena essa certifica la messa in crisi di quella stessa fede. Ma, soprattutto, il sovvertimento della logica strutturale della sinfonia (sottilissimo e quasi inavvertibile a onor del vero) ci parla molto da vicino (ma non sappiamo quanto consapevolmente) di un mondo (quanto vicino a quello americano che sbandiera ai quattro venti gli ideali di una guerra preventiva) che costruisce le prove di un delitto prima ancora che esso abbia luogo e che ha anche la scaltrezza di creare delle prove manipolando a bella posta delle immagini (e delle musiche), che abbiamo sempre recepito come incontrovertibili, a suo uso e consumo in una pratica che da pubblica si rispecchia amaramente nel privato.
Non e’ un caso, allora, che il numero del delitto di cui dovrebbe macchiarsi il protagonista sia 1109 (11 settembre) e, forse, non e’ neanche un caso che egli, cercando la scena del suo crimine non ancora commesso, incappi per errore nella stanza 1009 (10 settembre: il giorno prima. E se lì fosse rimasto, nulla sarebbe accaduto) salvo poi essere dirottato nella stanza 1006 dove e’ pronta per lui quella che Witwer chiama, con ironia profonda, un’orgia di prove (false) e di immagini (contraffatte).
Un gioco di numeri che sarebbe piaciuto, crediamo, a Philip K Dick.Quando in un film, per qualche breve momento, entra in colonna sonora un brano musicale del passato, ha luogo, nella mente dello spettatore consapevole un fenomeno strano ed affascinante. Si attiva una sorta di processo semantico, un reciproco richiamarsi tra brano musicale e sequenza cinematografica, che, in alcuni momenti, somiglia al contrappunto, ma che comunque non lo è in senso stretto, nè può sperare di esserlo. Una ridda di ricordi, di nozioni mezzo apprese e appena coscienti sulla composizione che si sta ascoltando, si sovrappongono alle scene che scorrono sullo schermo attivando un vero e proprio corto circuito di senso. Chion chiama questa sorta di gioco mentale, questo scambio reciproco tra idee diverse: Contrappunto didattico.
Minority report sorprendentemente gioca a più riprese con questa tecnica. Il primo esempio, il più geniale, lo costruisce mediante l’utilizzo spregiudicato della Sinfonia numero 8 in si minore di Franz Schubert. Questa musica, composta intorno al 1822 (una delle summe del pensiero musicale occidentale), compare all’interno del film nelle due scene in cui Anderton ricompone e rimonta le immagini dei delitti annunciati dai precog. Si tratta di una sinfonia incompiuta (di qui il suo epigrammatico titolo: Incompiuta) e il fatto che essa sia accostata all’immagine delle immagini (il gioco e’ già qui vertiginoso) di delitti che non hanno ancora avuto luogo da’ origine a un primo corto circuito di senso.
La musica schubertiana è un’altissima riflessione sul destino dell’Uomo, sul senso di predestinazione fatale che sembra iscriversi su ogni sua azione scolorendo l’idea di ogni tipo di libero arbitrio. Questa visione tragica trova la sua perfetta espressione gia’ nel livido motto introduttivo scolpito dai bassi, funereo come un sinistro presagio, e si conferma nell’agitazione del primo tema dell’esposizione: una melodia di oboi e clarinetti adagiata su un nervoso disegno degli archi. Il secondo tema, per contro, si apre, come una sorta di oasi felice (la tonalità è sol maggiore), con movenze da landler che parlano di una felicita’ malinconicamente perduta e con la melodia inizialmente affidata interamente agli archi gravi e punteggiata da brevi accordi delicati dei fiati. Quando i violoncelli e i contabbassi sono sostituti dai violini la felicita’ sembra di colpo farsi a portata di mano, ma proprio allora il tema si avvia inesorabile verso la tragedia con strappate tremende che fanno fremere l’orchestra e che preludono alla tormentata sezione di sviluppo del primo movimento.
In entrambe le visioni dei precognitivi la musica non segue l’ordine cronologico della sinfonia, ma si apre, invece che con il primo, con il secondo tema dell’esposizione. Nella visione del primo delitto la cosa si avverte solo superficialmente (grazie anche ad uno stacco di montaggio che ci porta per un momento fuori della sala delle indagini) e si puo’, comunque, spiegare con il fatto che, nella logica sinfonica, l’intera sezione espositiva viene ripetuta senza varianti prima della sezione di sviluppo, per cui lo spettatore potrebbe pensare di aver ascoltato il secondo tema dell’esposizione e, conseguentemente, il primo tema della ripresa.
L’impressione che se ne ricava, quindi, è di normalità nell’anormalità: la musica segue la sua logica temporale, ma ci appare distorta perché il montaggio ci sposta da un luogo all’altro durante l’esecuzione. L’idea dell’inversione, pero’, a ben vedere, ci riporta immediatamente all’idea di una societa’ che sovverte la logica che lega il delitto al castigo e che reinterpreta, su questa base, tutti i valori costituiti. In ogni caso, comunque, la musica mantiene, rispetto al racconto, una posizione oggettiva ed extradiegetica, è un puro brano di scena e comunica essenzialmente un astratto passaggio dal sereno al tragico. Essa ha, quindi, lo stesso andamento che determina l’unico flash-back/sogno del protagonista, quello dell’improvvisa sparizione del suo unico figlio che e’ la molla segreta e dolente dell’intreccio dal momento che determina sia l’entrata del personaggio nelle fila della sezione precrimine, sia l’elemento attraverso cui si cercherà di incastrarlo. Questo suo dramma privato va miracolosamente a rispecchiarsi con il dramma di Agatha in una simmetria perfettamente musicale: il padre ha perso un figlio e la figlia ha perso una madre.
Non e’ un caso, allora, che (secondo questo passaggio dal pubblico al privato) giunto a casa, Anderton sia accolto, prima di vedere le immagini del suo bambino, dalla musica di un’altra sinfonia (anch’essa paradossalmente in si minore) la Sinfonia numero 6 Patetica di Cajkosky (qui un valzer: secondo movimento allegro con grazia): un’altra sinfonia del destino (la più nota), un’altra opera che narra con le sue volute melodiche il doloroso scontro tra l’Uomo e il suo Fato.
Ma è la seconda visione dei precognitivi quella che attiva il più fecondo contrappunto didattico. Nell’inserire il brano schubertiano all’interno di questa sequenza, infatti, il regista è costretto a modificarlo per adattarlo al decorso drammatico degli eventi narrati. Qui Spielberg non si limita a tagliare la musica, ma la rimonta secondo una cronologia tutta personale nello stesso modo in cui le visioni dei precog non seguono una logica cronologica, ma si susseguono per assonanze drammatiche e di immagine. Anche in questo caso la musica comincia con il secondo tema che prosegue fino ad un attimo prima che esso confluisca nelle strappate icastiche e tragiche della sua stessa coda. Il discorso lineare si interrompe, a questo punto, su una sospensione che, inaspettatamente, porta alla ripetizione (di nuovo) del secondo tema che sfocia innaturalmente nella coda assai drammatica del primo tema. Una nota tenuta, assurda ed incongruente, del fagotto lega illogicamente la conclusione del primo tema al motto introduttivo (che si sente qui per la prima volta, mentre nella sinfonia esso e’ il motore di tutto aprendo l’esposizione, determinando lo sviluppo e costituendo il materiale della coda finale del primo movimento) e, successivamente all’esposizione completa del primo tema fino alla sua cadenza che corrisponde, in perfetto sincrono, con la fine della sequenza stessa. La musica che resta extradiegetica (vediamo Anderton attivare il registratore) si comporta, pero’, ambiguamente, come fosse diegetica, adeguandosi al ritmo degli eventi. Essa, quindi, cessa di essere oggettiva per legarsi allo sguardo del personaggio. Se nella prima scena la sua oggettività distorta sanciva la fede assoluta di Anderton al sistema (che pure la musica stessa indicava come assurdo), nella seconda scena essa certifica la messa in crisi di quella stessa fede. Ma, soprattutto, il sovvertimento della logica strutturale della sinfonia (sottilissimo e quasi inavvertibile a onor del vero) ci parla molto da vicino (ma non sappiamo quanto consapevolmente) di un mondo (quanto vicino a quello americano che sbandiera ai quattro venti gli ideali di una guerra preventiva) che costruisce le prove di un delitto prima ancora che esso abbia luogo e che ha anche la scaltrezza di creare delle prove manipolando a bella posta delle immagini (e delle musiche), che abbiamo sempre recepito come incontrovertibili, a suo uso e consumo in una pratica che da pubblica si rispecchia amaramente nel privato.
Non e’ un caso, allora, che il numero del delitto di cui dovrebbe macchiarsi il protagonista sia 1109 (11 settembre) e, forse, non e’ neanche un caso che egli, cercando la scena del suo crimine non ancora commesso, incappi per errore nella stanza 1009 (10 settembre: il giorno prima. E se lì fosse rimasto, nulla sarebbe accaduto) salvo poi essere dirottato nella stanza 1006 dove e’ pronta per lui quella che Witwer chiama, con ironia profonda, un’orgia di prove (false) e di immagini (contraffatte).
Un gioco di numeri che sarebbe piaciuto, crediamo, a Philip K Dick.