Esterina Malacarne aveva mangiato, da piccola, della carne andata a male. Si era ritrovata, così, un verme lungo e bianco nella pancia. Un verme solitario che divorava tutto quello che mangiava lei.
Per questo motivo, già bambina, si era ritrovata coi capelli bianchi. Ed era tanto smunta e bruttarella che le vicine di casa, gelose per il fatto che la madre avesse sposato l’uomo col sorriso più bello di tutta Napoli, avevano avuto gioco facile nello spargere la voce che fosse affatturata.
Nella capitale partenopea della sua infanzia, raccontata appena per cenni in La notte non vuole venire di Alessio Arena, Esterina diventa personaggio nel momento in cui si carica sulle spalle le stimmate di una diversità.
Una diversità evidente già nel colore bianco dei capelli, che marca i confini di un’esclusione inappellabile.
Esterina, a Napoli, non può restare, perché è la gente stessa di Napoli che la rifiuta. Non c’è cosa che possa dire o fare che sia capace di includerla nella comunità sedicente normale. Gli stessi genitori, strofinandole sul ventre la statuetta di San Gennaro per allontanare le influenze negative, le ribadiscono a ogni passo che lei è “speciale”, sancendo, con questa affermazione dettata dall’affetto, una diversità che il contesto familiare santifica nel tentativo di renderla innocua.
Esterina si porta addosso, tra i capelli, lo stigma dell’emigrante, giocoforza, allora, che cerchi sollievo nella speranza di realizzarsi altrove, magari proprio nella terra dove dicono scorra latte e miele. In cerca di una via di fuga, la ragazza si mette, così, al servizio di Gilda Andreatini, detta la Mignonette, una cantante particolarmente in voga tra gli emigranti italiani di New York a cavallo tra i due conflitti mondiali, che ha disperatamente bisogno di un’assistente di fiducia. È lei a darle il soprannome che non la abbandonerà più: la guagliona, la ragazza anonima, l’ombra che la deve seguire, pronta a risolvere ogni suo minimo problema.
Per Esterina, però, l’andare in America non significa trovare una soluzione alla sua diversità. Semmai essa, nel lieto carrozzone della vita dell’artista migrante, trova una sua posizione meno scomoda e, per questo, meno dolorosa. Il lavoro che Gilda le offre è, per certi aspetti, la possibilità di una famiglia, perché, alla protezione di un tetto e di uno stipendio, aggiunge una certificazione di utilità, un servire a qualcosa e un avere un posto che le permettono di sentirsi meno carta da parati. E poi, ora, si è tutti un po’ diversi in questo melting pot che non si scioglie mai del tutto: lo si sente nella lingua un po’ inglese e un po’ napoletano, nelle abitudini diverse, nell’incapacità a sentirsi parte di un mondo che non sarà mai possibile chiamare casa.
Ed ecco che, forse, il motivo più segreto e denso di La notte non vuole venire sta tutto qui: in questa impossibilità di “chiamare casa il mondo” che, in modi e forme diverse, tocca tutti i personaggi del romanzo. Sta nelle pieghe più evidenti di Esterina che cerca se stessa anche attraverso il sesso che le cade addosso come una sorpresa. Sta in Gilda (che è esistita veramente anche se, probabilmente, non nelle forme immaginate dal romanziere) che muore in mare, tornando a Napoli, senza avere nemmeno la consolazione di un dove che non siano i freddi numeri delle coordinate riportate sul certificato di morte. Sta in Frank Acierno, l’uomo che entrambe le donne amano, ma che non è capace di trovare vero porto nel seno di nessuna delle due, troppo chiuso nella difficoltà di un’autoaffermazione nello spettacolo, un’industria che fa gola anche alla Mob, la mafia americana. Sta persino in Federico Garcia Lorca, l’amico poeta incontrato per caso che segnerà il destino di tutti ma che, in quanto omosessuale, si porta addosso le stimmate di un’altra diversità cui va aggiunta la condanna della poesia. Sta in Maranzano, innamorato disperato e non corrisposto di Gilda, perso nella sua ossessione sconsiderata.
Tutti personaggi sballottati da un amore capriccioso, lui sì motore primo di un “andare verso” che è più spesso naufragio che meta. Un amore malattia che solo si può sublimare quando diventa amore di futuro, per i bambini, per i figli che vanno tenuti per mano e protetti quanto più possibile dalle storture di una vita avara di felicità. Altrimenti è solo vento di burrasca che gonfia le vele e ci condanna all’indeterminato, ai compromessi, al crescere sanguinando dopo averci portato in un paese straniero.
Alessio Arena insegue, in questa storia che è libera invenzione intorno a fatti, nomi e realtà che sono esistite veramente, la rievocazione di un’America, quella del proibizionismo, magnificata tanto nelle pellicole quanto nei grandi romanzi del secolo scorso. Lo fa con una prosa immaginativa, che mescola le carte di napoletano e inglese non solo nei singoli vocaboli, ma, spesso, nella costruzione stessa dei periodi. In questo modo invita il lettore a sciogliersi nei cavalloni di una trama agitata come è giusto che sia quando si parla di gangster, di sparatorie, ma anche di canzoni napoletane (quelle che canta la Mignonette e che le hanno regalato un posto piccolo nella Storia). L’autore sorveglia la messe narrativa, innamorandosi di personaggi scolpiti nel mito e riuscendo a rendere pregio quella sovrabbondanza che, altrove, avrebbe potuto essere difetto. Un bel romanzo, insomma, pregno, tra le altre cose, anche di cinema, ma che sa puntare lo sguardo su tutto ciò che palpita sotto i lustrini e le insegne colorate. La celebrazione, insomma, di un mondo che ha tanto gridato, ma che è cantato, in queste pagine, magicamente sottovoce.
Autore: Alessio Arena
Titolo: La notte non vuole venire
Editore: Fandango Libri
Dati: 316 pagine, brossura con alette
Anno: 2018
Prezzo: 18,00 €
Isbn: 9788860445681
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