Film nato per lo sci fi channel, Saint Sinner reca già nell’ossimoro del titolo uno dei tratti distintivi di tutta la poetica di Clive Barker: l’impossibilità di definire il labile confine che separa la santità dal peccato, la carne dall’anima, il bene dal male. Mentre, però, in film come Cabal e (in parte) Hellraiser, il discorso si incentrava prevalentemente nella visione del mondo degli inferi e della mostruosità (che appariva sempre, comunque, meno deforme del mondo che consideriamo normale), qui tutta l’attenzione si sposta nel cuore e nell’anima di un personaggio positivo che non si è ancora reso del tutto conto di essere davvero tale. Ne consegue un discorso apparentemente diverso (specie nell’epilogo molto conciliatorio) da quello che abbiamo apprezzato nelle regie cinematografiche e, più ancora, nelle pagine dello scrittore-regista inglese (nato a Liverpool, classe 1952) poiché, a prima vista, esso appare puntato molto più sulla spiritualità che non sull’oppressivo peso della carne e sulla fisicizzazione del peccato.
Nel 1815, in un monastero di monacelli dediti alla raccolta delle messi e alla preghiera, viene depositato un monile di grandiosa bellezza (anche questo un tema classico dello scrittore: l’arte come sintesi della massima bellezza e del massimo male) che altro non è che il luogo fisico in cui erano state confinate due entità malefiche, due succubi che non chiedono di meglio che una stilla si sangue umano per tornare alla vita. L’occasione viene fornita loro dalla curiosità di un giovane monaco, poco dedito alla vita monastica e con la sola convinzione che la vita vada, alla fine, vissuta in barba alle regole ottuse dell’ordine cui pure appartiene. Convinto il fratello (anche lui facente parte dell’ordine), a seguirlo nell’empia impresa, il protagonista libera incautamente le due entità che sono subito attratte (e qui sta il motivo fantascientifico) da una ruota del tempo mediante cui possono giungere fino al nostro tempo: un paradiso di carne e sangue, per loro, dato il gretto materialismo che sembra incapace di ostacolarle. Al fraticello l’occasione di redimersi seguendole nel presente col compito di fermarle ed ucciderle con un pugnale che, per funzionare, può solo essere brandito dalle mani di un vero santo.
Il breve film per la televisione (che di Barker, qui produttore, conserva prevalentemente la traccia narrativa e qualche suggestione), sceneggiato da Doris Egan e Hans Rodinoff per la regia non sempre coerente di Joshua Butler è da considerarsi certo episodio minore all’interno del più vasto panorama della produzione di Barker pur avendo qua e là qualche motivo di interesse. Dello scrittore inglese vengono conservate alcune suggestioni, ma soprattutto la volontà ad ibridare il più possibile i generi in modo da produrre un unicum compatto ed assolutamente originale.
Come Hellraiser, Cabal e Il signore delle Illusioni, anche Saint Sinner è un finto horror e il pretesto fantascientifico della macchina del tempo serve solo a complicare il racconto di argute riflessioni antropologiche che restano uno dei temi fondamentali per comprendere le pellicole e i libri dell’autore. Il regista di questa operina si adopera il più possibile per garantire al tutto una precisa aura barkeriana e in qualche episodio riesce a reggere il confronto con la visionarietà sfrenata del suo mentore.
Riuscita ci appare la prima scena del monacello quasi nudo che vive estaticamente immerso nel verde di una sorta di paradiso terrestre, mangiando una mela (simbolo del peccato originale presto sottolineato dall’ingresso in scena di una bella contadina che suscita nel protagonista non molto casti pensieri), ma giacendo al suolo con le braccia allargate in una forma estatica di attualizzazione della crocifissione (come a dire, a livello iconografico, la coesistenza del peccato e del motivo di redenzione).
Come pure grottescamente manierata è la buona scena dell’uccisione del poliziotto nel parco giochi da parte delle due malefiche entità.
Ma molti, troppi, sono i buchi lasciati dalla sceneggiatura (si accenna all’idea, già espressa in Intervista col vampiro, che i mostri possano succhiare la linfa vitale della vittima solo se questa è ancora in vita, ma poi, quando una delle vittime viene uccisa durante il fiero pasto al mostro non succede nulla) e i personaggi non sono coerentemente sviluppati.
Il tono moralista del finale (assai poco barkeriano: che sia una concessione alla televisione via cavo?) è alquanto appiccicaticcio e confuso e i vari registri narrativi adottati (fantascienza, horror, racconto morale) che generano una colonna sonora molto schizofrenica (con musica ora modaleggiante, ora sacrale, ora dodecafonica, ora minimalista) non si fondono tra loro in maniera davvero convincente. Per appassionati del genere.
(Clive Barker’s Sain sinner); Regia: Josgua Butler; sceneggiatura: Doris Egan, Hans Rodinoff da un racconto di Clive Barker; fotografia: Barry Donlevy; montaggio: Sean Albertson; musica: Christopher Lennertz; interpreti: Greg Serano, Gina Rovera, Mary Mara, Rebecca Harrel, Antonio Cupo, Art Hindle, Boyan Vukelic; produzione: Clive Barker