Una ragazza lavora a una pompa di benzina. Arriva tardi al lavoro perché deve andarci a piedi, con la fatica di passi svelti di una che, lo immagini, ha mille altre cose da fare e avrebbe il desiderio di farne altre mille completamente diverse.
A fare rifornimento arriva il suo vecchio maestro di musica che lei non saluta per vergogna. Lui, da parte sua, finge inizialmente di ignorarla, ma poi la prende alle spalle coi ricordi.
Lei era bravissima a suonare il flauto, una delle sue studentesse preferite, ma si è gelata ad un concerto e, da quel momento ha smesso, non ce la fa proprio a riprendere tra le mani lo strumento, non trova più il fiato per affidare al suono i sogni che le bruciano nel petto.
Come è fisicamente senza macchina, ed è costretta al passo lento per raggiungere un lavoro che non era certo quello dei suoi sogni, allo stesso modo, metaforicamente, è rimasta senza la benzina per andare avanti. La sua condizione esistenziale è proprio quella della macchina in panne e il paradosso, per amore di sceneggiatura, è che dà carburante a tutti gli altri, mentre lei annaspa ancora nel silenzio che si è costruita intorno. Del resto, stava anche per vederselo quel flauto che, silenzioso, la accusa di averlo abbandonato.
Il racconto di Gas station è piccolo, così piccolo che per raccontarlo, l’abbiamo gonfiato oltre le sue dimensioni, arricchendolo delle motivazioni alla base del gesto dell’attrice (che poi sarebbe pure la regista, Olga Torrico, ottima in entrambi i ruoli) e della storia.
A fronte di una storia piccola sin alle soglie dalla banale, sta invece la rivendicazione linguistica di un montaggio ipertrofico, che mescola materiali di repertorio di varia provenienza, tutti centrati sulla resa, attraverso l’urto, dei dissidi interiori, delle emozioni e delle sensazioni della giovane protagonista.
Corto di linguaggio, insomma, che strizza l’occhio al muto (con derivazioni dal cinema sovietico, sgrossato dall’ideologia) come potrebbe fare un Godard un po’ in vacanza, per un breve film saggio che dimostra prima di tutto una padronanza del mezzo e poi la voglia di raccontare con sincerità di cose e persone.
Il prodotto finale, che si avvale del montaggio ricco di Corrado Iuvara, non difetta di passione, ma ha anche le ansie di chi deve dimostrare prima ancora che mostrare.
Il premio SIC@SIC al Miglior Contributo Tecnico conseguito a Venezia ha così il sapore della missione compiuta, ma noi attendiamo il regista a una prova ulteriore che sappia dirci di uno sguardo ormai sicuro dei suoi strumenti e giustamente affamato di realtà.