Comincia dove meno te l’aspetti C’era una volta il West, volume dedicato al capolavoro di Sergio Leone scritto da Roberto Donati.
Comincia da un ragazzino di tredici, forse quattordici, anni che inizia ad appassionarsi al cinema, ma non ha ancora chiara una sua direzione, come molti alla sua età.
Comincia dai primi turbamenti, che flirtano col proibito dell’horror (che pure c’è nel film, grazie al nome di Dario Argento che s’inventa di una mosca e una pistola che hanno fatto storia) e stanno poco, almeno sembra, dentro al western.
Comincia da lontano a dirci più di chi scrive che non di cosa si scrive, ma è solo un’impressione che dura qualche rigo. Una pagina, forse.
Poi ci si accorge che, dietro l’apparente concessione autobiografica, si nasconde una visione ben più universale e che dietro questo ragazzino come tanti, che scopre il cinema e se ne innamora, c’è in realtà l’archetipo in cui ognuno può vedersi rispecchiato.
Come ci si accorge che dietro la prosa elegante (da romanziere? Da critico? Da appassionato?) si nasconde, oltre l’omaggio Kinghiano (alla It che pure segna il passaggio dall’infanzia al mondo adulto), c’è il ritratto di una generazione e il racconto di una percezione e una prima, ancora parziale e incerta, lettura del capolavoro di Leone.
Solo a questo punto ci accorgiamo di essere finiti dentro un meccanismo più complesso, che si avvita su sé stesso come in fondo fanno anche i film di Leone, che tornano sempre al punto di partenza per contemplarlo da una posizione nuova, certamente più dolente e scomoda.
E in breve l’intero volume di Donati, che sonda appieno un capolavoro su cui sono scorsi fiumi d’inchiostro, diventa proprio questo: un inesausto ritorno a un tempo e a uno stupore che non è quello della prima visione (che fu deludente, per un ragazzino che non poteva riconoscersi nel tono testamentario del racconto), ma di quel momento meno certo in cui il senso è riaffiorato alla coscienza in una comprensione d’improvviso più matura.
Così la descrizione dell’oggetto amato è, sottopelle, racconto di un percorso conoscitivo e affettivo in cui la consapevolezza cresce come si allargano le onde lasciate dall’impatto di un sasso nello stagno. E il discorso è un continuo ritornare che si allarga ad orizzonti sempre nuovi che ci donano un di più ad ogni attimo che passa.
Persino la biografia di Leone (nell’identikit dell’autore che apre le danze) segue questa sorte: centra un momento della vita dell’autore e poi resta sulla riva a guardare come i cerchi nell’acqua si allarghino per piano piano sciogliersi nella pace rinnovata.
Così, e solo così, si può sentire come i set calcati da Leone sin dalla più tenera età, sulle orme di un padre, regista ai tempi del fascismo, abbiano potuto innervare la visione dolente di una rilettura del genere western così sinistramente autobiografica (e cos’è, in fondo, il paese in costruzione di C’era una volta il West se non un set che si costruisce dentro un set in una continua ricaduta dentro il mito che è anche commosso amarcord di un’infanzia perduta?).
Allo stesso modo, anche l’analisi del film, che segue la cronologia di una pellicola comunque avvitata su sé stessa, procede per illuminazioni cangianti che stanno nel solco di tanti e tanti studi, ma pure riescono a ritagliarsi uno spazio di propria originalità.
In questo modo è la struttura stessa del saggio, e la sua prosa attenta, a tratti preziosissima, a diventare specchio, per il lettore, di quel complesso balletto con la morte che è C’era una volta in West. Un balletto macabro che in fondo già si intravede nella scelta di mettere come protagonista la stessa Claudia Cardinale che ballava col Gattopardo di Visconti e che si conferma in quel mettere i due personaggi dell’epica western, quasi due sopravvissuti delle avventure picaresche della precedente trilogia del dollaro, con gli occhi totalmente rivolti al passato (che è quello del mito e di un genere che muore con il film proprio nel momento in cui il film così potentemente lo magnifica), mentre il futuro è quello del treno, Moloch possente che tutto ingoia, addomesticando strade.
Così, mentre il loner del western classico si avvia verso l’orizzonte accettando la sua metamorfosi in loser, il film, primo e unico ad accettare una protagonista donna di pari spessore agli altri eroi (pare per volontà più di Bertolucci che non dell’autore stesso, per il resto sordo, ma non del tutto, al ‘68 intorno a lui) diventa magnifica procrastinazione di una fine inevitabile e desiderata.
E a noi lettori resta, alla fine, l’impressione che questo immenso capolavoro dell’attesa e del paesaggio abbia trovato un commentatore finalmente capace di dirlo, raccontandosi.
Titolo: C’era una volta il west di Sergio Leone
Editore: Gremese
Collana: I migliori film della nostra vita
Dati: 144 pp., brossurato con foto a colori
Anno: 2018
Prezzo: 16,00 €
Isbn: 9788866920236
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