Drammaturgia: Alessandro Izzi
Regia: Maria Pia Iannotta
Con: Maresa Adrover, Mauro Di Lelio, Antonio Gallo, Nicolas Paccaloni, Mauro Ripani
Aiuto regia: Carla Napolitano, Rossella Villani
Luci: Marco Bertoni.
Drammaturgia: Alessandro Izzi
Regia: Maria Pia Iannotta
Con: Maresa Adrover, Mauro Di Lelio, Antonio Gallo, Nicolas Paccaloni, Mauro Ripani
Aiuto regia: Carla Napolitano, Rossella Villani
Luci: Marco Bertoni.
SULLA DRAMMATURGIA
Una divisa trae spunto molto liberamente da una storia vera, quella dell’azione del carcere di Baldenich, passata alla storia come la “beffa di Baldenich”. Nella notte del 15 giugno 1944 quindici partigiani, travestiti da ufficiali tedeschi e con falsi prigionieri da consegnare, riuscirono ad entrare nella prigione e a neutralizzare le guardie, liberando in maniera incruenta settantatré prigionieri. I detenuti furono successivamente trasportati in montagna con tutte le complicazioni che si possono immaginare dal momento che molti di loro erano feriti o spossati dalle torture che avevano subito. Capo di questo manipolo di coraggiosi fu il Comandante Carlo, al secolo Mariano Mandolesi, diventato partigiano per il suo innato rifiuto di ogni forma di fascismo e ricordato, oltre per le sue azioni, anche per un suo progettato, ma mai attuato, attentato a Benito Mussolini in visita a Gaeta.
In ricordo di questa azione, in fondo simile a quella raccontata in questa libera fantasia teatrale, si è scelto di dare nome di Mariano al giovane che tanti dubbi ha circa la possibilità di entrare a far parte della resistenza. Per il resto personaggi e situazioni sono frutto di un’invenzione nata dal bisogno di raccontare il senso di una presa di posizione nei momenti più bui della Storia. Un bisogno tanto più attuale in questi giorni in cui relativismo e revisionismo tendono a confondersi e in cui l’azione individuale e l’esercizio di una scelta etica e morale soffocano nel mare di una sempre più generalizzata indifferenza…
NOTE DI REGIA
Scopro ‘Una divisa’ selezionando testi per una rassegna di drammaturgia contemporanea.
E subito rimango colpita, quasi prima che dal valore del contenuto, dalla cura del dettaglio, che l’autore, Alessandro Izzi, mette in ogni didascalia.
Tutto è perfettamente delineato, con attenzione, sobrieta’, precisione… e la pagina non chiede che di essere portata in scena.
Per chi si accinge ad intraprendere la regia di un lavoro di tal genere, da un lato si è agevolati da una struttura solida e non casuale, un buon trampolino di lancio mi verrebbe da dire, dall’altro ci si sente, pero’, piuttosto superflui ed accessori.
Perché Alessandro Izzi, quando scrive, è contemporaneamente Autore e Regista.
Qualità abbastanza rara, oggi, nel teatro.
E allora quale strada percorrere per dare un proprio contributo?
Liberamente ispirato ad una storia vera, ‘Una divisa’ nasce come racconto partigiano.
Così il nostro autore, esperto conoscitore della storia del Novecento, definisce l’opera. Tale espressione non lascia immaginare il filo sempre teso e lucido che, nel testo, lega un episodio verosimile relativo al periodo della Resistenza, all’altra grande passione dello scrittore che è il Teatro, universo parallelo che, con la sua finzione e le sue regole, contrasta ma, al tempo stesso, si sovrappone alla realtà, rispecchiandola. In un gioco sottile e accattivante.
Ma torniamo alla Storia.
Alessandro Izzi non manca di sottolineare, nelle sue note introduttive, come le grandi domande e scelte di vita del Passato (‘Ma è la cosa giusta? Chi ha ragione e chi ha torto?’) oggi trovino, spesso, un ostacolo nel relativismo, nell’apatia, nella non azione.
Ecco… la regia ha provato a ‘spingere l’acceleratore’ su tutti questi temi, riflettendo sull’attualità dei messaggi impliciti nell’opera.
La divisa diviene, così, l’emblema di tutte le volte che abbiamo sposato un ideale (esistenziale, politico, sentimentale…), lo abbiamo indossato, magari senza crederci fino in fondo, e fatto nostro, convincendoci che fosse giusto e coltivandolo pigramente nel tempo… fino a quando, d’improvviso, accade ‘il miracolo’ e riusciamo, quasi inconsapevolmente, a liberarcene.
A spogliarcene.
Come quando cade una maschera.
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