La Napoli dell’immaginario audiovisivo di questi ultimi anni, deve molto a fenomeni come Gomorra che, dopo essere stato romanzo di culto, è stato dapprima un film intriso di una strana forma di realismo e poi una serie televisiva improntata a modelli di rappresentazione che sempre più si sono discostati dalla realtà fattuale per scivolare verso una forma di mitizzazione che in parte ha contraddetto le stesse esigenze di denuncia da cui si era partiti a tutta prima.
Persa la sua carica di realtà spesso squallida e quotidiana, la camorra è diventata quindi espressione di una sorta di nuova frontiera da esplorare, mentre i personaggi che ne sono diretta espressione hanno preso connotazioni archetipali e sono diventati vere e proprie maschere. Un percorso, in fondo, già presente nelle primissime riflessioni romanzesche sul tema, da parte della neoavanguardia, come nel caso, per certi aspetti seminali di Sandokan di Nanni Balestrini dove la profonda provincia è già rivissuta in una chiave verrebbe da dire quasi western, mentre Napoli (che nel romanzo è porto lontano e invidiato) è come le grandi città nell’impero di frontiera, persa tra il ricordo della legalità e le ansie di conquista dei cowboy.
Ne è sortito un genere con cui hanno, in fondo poco a che vedere, altre espressioni della napoletanità come i capolavori animati di Rak che, per moto contrario, utilizzano il mito e la rielaborazione fantastica per tornare a quel tessuto sociale e umano che è la realtà meravigliosa della capitale partenopea.
Come ci sembra slegato da ogni riflessione di genere anche quel Napoli velata di Ozpetek che tutto riporta a cartolina, anche la magia di una città magmatica e indefinibile.
Il percorso compito da Igort per raccontare Napoli in 5 è il numero perfetto è un’altra storia ancora e si pone come alternativa intrigante alle varie strade i cui percorsi abbiamo così brevemente tracciato. Intanto per una questione prettamente anagrafica.
In fondo Igort, come Ozpetek, ma a differenza di Saviano e Balestrini non è di Napoli né della provincia.
Forte delle sue origini sarde, lungamente domiciliato per motivi di lavoro in Giappone, l’autore di alcuni dei più folgoranti capolavori fumettistici (tra cui lo stesso 5 è il numero perfetto), nonché musicista di un certo calibro, parte quindi dal mito per pervenire alla sua rappresentazione di Napoli.
Il suo è, però, un mito, che si abbevera di suggestioni che vanno oltre, anche se non esulano da quelle dei vari Saviano e Balestrini, da una parte, e della serie televisiva, dall’altra.
Nella sua rappresentazione di Napoli, anzi, si avvicendano modelli più antichi che passano dall’ironia acidula delle maschere di un cinema altamente popolare (Totò e Peppino sono i nomi dei due guappi ormai pensionati che riprendono in mano le armi per portare avanti una trama di vendetta), scivolando poi verso espressioni quasi noir nel tratteggio della struttura narrativa e degli ambienti in cui essa prende forma.
Da un punto di vista strettamente iconografico, tanto nelle tavole del fumetto (dove l’evidenza del modello è palese) quanto nel film che ne ricalca il modello con una cura che a tratti fa pensare, senza mai arrivarne agli esiti estremi, alla Sin city di Rodriguez e Miller, si palesa un’esasperazione grafica di sapore quasi espressionista che si lega ad una dilatazione dei tempi che fa invece pensare al cinema di Sergio Leone.
Quel che più colpisce, nella visione di 5 è il numero perfetto è però la straordinaria qualità musicale della messa in scena che si abbevera di una cura linguistica nella costruzione dei dialoghi (e nella scelta dei toni utilizzati per renderli a livello sonoro) che, pur già presente nel fumetto, assume nel film una ricchezza di sfumature, di timbri e di inflessioni dal sapore quasi sinfonico.
Attraverso tutti questi elementi viene restituita così una Napoli mitica, prevalentemente piovosa e notturna, in cui, pur restando riconoscibilissimi ambienti e scorci, si perde ogni possibile suggestione da cartolina. Nel frattempo, la descrizione della realtà malavitosa rinuncia a ogni riflessione sociologica per spingersi verso racconti più basici, quelli delle storie di vendetta, di amicizia tradita, di forti contrasti e antieroi solitari.
Cinema dell’immaginario, quindi, ma di livello. Non piccola cosa per un’industria, come quella italiana, dalle abitudini di solito notevolmente più contenute.