Etty Hillesum è stata testimone fondamentale della distruzione degli ebrei olandesi. Come Anna Frank, in fondo, ma da una posizione intellettuale completamente diversa che apre una prospettiva altra sugli stessi scorci di strade e sugli stessi foschi eventi.
In fondo la giovane Anna, che ci ha lasciato un diario dal valore inestimabile, era poco più che un’adolescente. Dall’altezza dei suoi pochi anni, nello scarto di un’esperienza della vita per necessità ancora limitata, la ragazza poteva solo fornire una visione del mondo altrettanto limitata e vieppiù ristretta dai limiti angusti del nascondiglio dal quale vide poco anche se intuì moltissimo. Cosa questa che aumenta, anziché diminuire il valore testimoniale delle sue parole perché il suo sguardo, che è per l’appunto piccolo, ci dice soprattutto lo sforzo inumano di contenere, in occhi ancora freschi, l’incontenibile di un orrore inenarrabile.
Viceversa Etty è già trentenne quando comincia a tenere il suo diario. Lo fa da una posizione esistenziale di crisi, da un malessere profondo che è solo in parte collegato alla realtà politica e all’avanzare dell’antisemitismo anche in terra olandese. E per tutte le prime pagine, tra le annotazioni, colpisce il valore umano di una donna che cerca sé stessa al di là di quanto accade per le strade della Amsterdam occupata.
Poi, man mano che gli eventi precipitano e che Etty raggiunge, conquistandola a fatica, una propria identità, il rapporto tra il chiuso dell’esperienza individuale e la complessità degli eventi esterni, trova un equilibrio per certi versi inconcepibile.
Perché è se non altro incredibile che una donna riesca a ritrovare sé stessa e a ricostruire un rapporto melodioso con Dio mentre tutto intorno il mondo va in rovina e la mura accoglienti di casa lasciano il posto al fango del campo di transito di Westerbork per cui pure Anna Frank passò, ma di cui Etty fu testimone di prima mano, dal momento che fu volontaria dello Judenreit.
È anche qui che il diario (forma di scrittura individuale e chiusa) cede il posto alle lettere che, nell’esigenza innegabile di un destinatario, diventano espressione di un colloquio con l’altro, di un allargarsi dell’esperienza nella comunicazione che denota, come nota acutamente Antonella Fiminani in Donna della parola, un diverso livello di sforzo testimoniale che dovrebbe ambire alla prosa dello scrittore di cronaca, ma si trova di fronte a una mancanza di senso che rivendica l’esigenza della penna di un poeta.
Antonella Fimiani ricostruisce con grazia la profondità del percorso esistenziale di Etty Hillesum isolando nel corpus dei taccuini e delle lettere due profondi snodi di riflessione: la ricerca di un rapporto con Dio e, unito a questo in un rapporto di causa-conseguenza, il bisogno di una ricerca linguistica capace di sostenerlo e sottenderlo.
A muovere la Hillesum in questa direzione fu certamente l’incontro con Julius Spier, l’uomo che la iniziò alla chirologia (uno studio della psicologia attraverso l’analisi delle linee delle mani, una strada presto abbandonata da Etty che era invece in cerca di una forma di contatto al tempo più stesso più pragmatica e più “letteraria” con l’alterità del mondo), ma che più di ogni altra cosa fu maieuta, quasi ostetrico, di un bisogno tutto interiore di entrare in contatto con un sé più profondo e meno possessivo. In fondo Spier fu per Etty proprio, per citare le sue stesse parole (curiosamente non citate all’interno di Donna della parola) “un primo passo verso molte persone”, un punto di partenza per raggiungere l’umanità attraverso un ricongiungimento con la sua interiorità più vera.
È comunque proprio nella ricostruzione di un ponte col divino che si condensa il nucleo più avvincente del diario. Uno snodo che Antonella Fimiani restituisce con notevole forza, sottolineando con chiarezza la dimensione puramente femminile del rapporto con Dio. Etty si cerca e si trova, quindi, nella dimensione di madre, di genitrice di un Dio che va coltivato nel proprio grembo, cui bisogna quotidianamente ridare i natali in uno sforzo di sublime accettazione dei propri limiti e della miseria del mondo che ci circonda. Sta tutto in questo sforzo, ogni possibilità di miracolo perché, secondo una formula che già anticipa le riflessioni del “dopo Auschwitz” (e quanto è profetica in questo la penna di Etty!), non bisogna “troppo chiedersi cosa Dio può fare per noi, quanto piuttosto quanto noi possiamo fare per lui”.
Tuttavia, è senz’altro nella ricerca di una lingua poetica, di una parola capace di restituire un senso all’insensatezza del mondo che si ravvisa la grandezza di una pensatrice che ci è stata strappata troppo presto. E in questo sono forse le lettere scritte da Westerbork a essere portatrici di un ultimo anelito a un fattivo rapporto col mondo e con la propria interiorità. Una parola, quella ricercata da Etty, davvero capace di dare origine al mondo. Un linguaggio capace di restituire la compresenza incomprensibile di orrore e meraviglia nei piani del creato, coi fiori che gemmano proprio mentre i treni partono, con la dolcezza dei volti incontrati a un passo dall’orrore, con l’umanità che non si spegne mai del tutto nella disumanità degli eventi. Contro Adorno, ma senza contraddirlo, Etty dimostra che se non può esserci poesia ad Auschwitz, nondimeno non può esserci altro che la poesia se si vuole ancora tentare di testimoniare. Ed è proprio il bisogno di testimonianza a muovere la penna, il bisogno non solo di esserci, ma di metabolizzare quell’esserci, che si ravvisa tutto il senso di un’utopia che la Fimiani restituisce con vigore e lucidità.
Così il saggio avanza, nella sua misura giustamente contenuta, restituendo con chiarezza le tappe di un’esistenza esemplare e, al tempo stesso riannodando i fili di quest’esperienza che si ferma comunque a un passo da Auschwitz (non abbiamo documenti che raccontino qualcosa degli ultimi giorni di Etty e l’ultima annotazione è quella del suo treno che parte “cantando” a segno di un’estrema resistenza alla disumanizzazione dei campi). Un lavoro importante, quindi, che riconnette l’esperienza del singolo alle riflessioni successive, dalla Arendt a Levi, da Améry ad Adorno, a dimostrazione di quanto ancora ci sia da studiare sulle ceneri da cui prende corpo la possibilità dell’oggi e dell’Europa.
Titolo: Donna della parola. – Etty Hillesum e la scrittura che dà origine al mondo
Editore: Apeiron
Dati: 160 pp., brossurato
Anno: 2017
Prezzo: 12,00 €
Isbn: 9788885978973
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