Si incomincia con la scoperta più straordinaria di tutte: quella dell’acqua calda.
Forti dell’insuccesso critico virtualmente unanime di Cinquanta sfumature di grigio, infatti, i produttori di Cinquanta sfumature di nero sono partiti dalla più ovvia delle considerazioni: per fare un film sulle aberrazioni sessuali delle nuove generazioni wasp americane è il caso di girare – ma guarda un po’! – anche qualche scena di sesso.
Contrariamente a quanto avveniva nel primo film che era una continua promessa di sesso estremo ma si fermava sempre alla discussione dei dettagli contrattuali che lo procedevano, in Cinquanta sfumature di nero, quindi, di sesso ce n’è eccome. Consumato nelle pose più improbabili, condito con le salse più saporite, illuminato dalle più fumiganti candele che non se ne vedevano così dai sudaticci anni ’90 prima della falce dell’aids.
A venir meno sono proprio le estenuanti discussioni contrattuali che erano state il sale sulla noia del primo film. Quindi niente “vorrei ma non posso”, niente discussioni sulla consistenza delle manette di seta, niente specifiche sulla purezza dell’oro da utilizzarsi per il fallo a misura siffrediana da infilarsi prima di uscire per una serata di beneficenza in gran spolvero di frak e abiti da sera.
Qui no! Forti della regole che non c’è più nessuna regola, il contratto è stracciato e piano piano vengono meno anche i tabù imposti da un dominatore sempre più pronto a cedere il regno e a farsi dominare.
Perché, udite udite: la crocerossina del primo film ha vinto sul lupo cattivo. Il bel tenebroso che sembrava trarre piacere solo dallo sculacciare giovani vergini ha capito finalmente che cosa è l’amore (chissà se l’uscita contemporanea con il festival di Sanremo ha qualcosa ha che vedere con tutto questo) ed è disposto a smettere di scopare duro se la ragazza che tanto gli somiglia a sua madre accetta di non lasciarlo.
E così, per sommo interdetto e sadico piacere del pubblico in sala, il lungo armamentario di discussioni sulla formula fisica per misurare la forza da imprimere alla frusta prima dell’amplesso, viene sostituito da un più bieco armamentario da baci Perugina del “Ti amo da impazzire” “Per te rinuncio a me” e dell’immarcescibile “Non sopporto il pensiero di invecchiare senza te”.
Poi a un certo punto di tutto questo sesso condito da profferte d’amore che si allunga per metà film sfidando tanto le leggi di gravità quanto quelle dell’umorismo, deve essere sorto, nella mente degli sceneggiatori l’idea bizzarra che, essendo questo un racconto, dovesse anche succedere qualcosa.
Non si parla qui di evoluzione psicologica, di approfondimento di carattere, di spaccato sociale o che altro, intendiamoci. Si parla qui semplicemente di un evento, un accidente, una… cosa. E non stentiamo a immaginarli, questi straordinari talenti del marketing cinematografico darsi da fare a pescare dal romanzo di partenza che già non racconta praticamente nulla, colpi di scena da intercalare tra una scena di sesso e l’altra.
Ecco allora spuntare una ex succube che minaccia la bella che le ha tolto la bestia con una pistola e che, come entra in scena così ne esce: senza un perché.
Ecco allora che spunta fuori la vecchia amica che spinse Christian al sesso estremo e che dopo aver iniziato tutto vuole anche finirlo: così, senza un per cosa.
Ed ecco infine che prende il volo un elicottero e subito ricade lasciando lo spettatore nel finto dubbio che l’eroe sia morto per la bellezza di un battito di ciglia: ma per favore!
Intendiamoci: non che Cinquanta sfumature di nero sia girato male (Foley era un discreto talento un tempo), ma sta lì appeso come a un gancio a gridare al mondo la sua sostanziale inutilità.
Fenomeno commerciale che piace alle ragazzine e in genere al pubblico femminile in cerca di storie romantiche abbarbicate a un femminismo di ritorno secondo cui sia la donna a dettare l’agenda del sesso, il film scorre via con una certa noia e senza un guizzo uno di originalità.
La citazione a Kubrick con il ballo in maschera è un inno alla non perturbanza e un modo per mettere in campo riferimenti poco lusinghieri. È come mettere vicino aquile e galline con la scusante che tutte e due hanno le ali, ma poi lo sappiamo tutti chi finisce in brodo.
Più grottesca ancora la citazione a Una donna in carriera di Nichols con battute riprese paro paro non si capisce bene se per omaggio o per errore di copia incolla.
Il tutto il nome a una fedeltà al romanzo imposta, si racconta, dall’autrice in crisi depressiva dopo le infedeltà del primo film. Si dice che creda ancora di essere Jane Austen.
(Fifty Shades Darker); Regia: James Foley; sceneggiatura: Niall Leonard; fotografia: John Schwartzman; montaggio: Richard Francis-Bruce; musica: Danny Elfman; interpreti: Dakota Johnson, Jamie Dornan, Hugh Dancy, Eric Johnson, Kim Basinger, Marcia Gay Harden, Jennifer Ehle, Luke Grimes, Rita Ora, Victor Rasuk, Eloise Mumford, Max Martini, Bella Heathcote, Eric Johnson; produzione: Universal Pictures; distribuzione: Universal Pictures; origine: U.S.A., 2017; durata: 115’; webinfo: Sito ufficiale