Elle Marja ha quattordici anni ed è lappone.
Il padre è morto quando era poco più piccola, la madre è un’allevatrice di renne fedele alle tradizioni di famiglia che segue con nobile abnegazione.
Ha una sorella minore che ha davvero troppa paura del suo primo giorno di scuola. Del resto per i piccoli lapponi la scuola è un non piccolo trauma: strappati dalla loro realtà familiare e sociale, sono costretti a recarsi al di là del lago dove li aspetta una struttura in legno, con un’aula apposta per loro e, vicino, un dormitorio dove trascorrere le notti sospirando la casa lontana. Dal punto di vista culturale, poi, lo sradicamento è ancor più pesante dal momento che è fatto loro divieto di parlare nella loro lingua natia e le uniche parole ammesse sono quelle dello svedese delle canzoni religiose e degli inni che devono memorizzare per far contenti gli insegnanti. Proibito anche lo yoak, il canto rituale lappone la cui melodia resta il solo ricordo di casa da cantare di nascosto, lontano dalle orecchie dei maestri.
Siamo negli anni ’30 delle teorie razziali che presto avrebbero portato all’edificazione dei campi di sterminio e non è che la Svezia, che avrebbe rappresentato la salvezza degli ebrei danesi in fuga dal Reich per la sua neutralità, sia così immune dal delirio dell’eugenetica.
Per questo i piccoli lapponi, sbarcati dalle loro canoe a inizio anno scolastico, fanno gruppo a sé e camminano, sotto gli sguardi giudicanti della peggio gioventù del tempo, con la testa incassata nelle spalle e la sofferenza di chi è costretto a subire, ingoiando stretto il pianto, tutto il pregiudizio dell’altro.
Elle Marja, rispetto ai suoi coetanei, si porta dento un disperato bisogno di essere accettata anche da quel mondo che a tutta prima la rifiuta, che la mette in una scuola commisurata alla genetica incapacità di apprendere di quelli della sua specie e che la invita a imparare quel tanto che basta per poi tornarsene a casa ad allevare renne. Elle Marja ama la poesia, la musica e qualsiasi cosa abbia il sapore di novità. Ma non ha spazio nel mondo svedese del tempo che magari è curioso (dal punto di vista antropologico) della cultura lappone, ma la considera inferiore rispetto agli standard del biondo ariano che presto dovrà conquistare il mondo.
Così alla giovane lappone non resta che rifiutare la propria identità, morire come Elle Marja per risorgere come Christina, una ragazza che può continuare gli studi, che può muoversi per il mondo più libera e sognare di diventare, in futuro, insegnante.
Da questa nuova identità le è concesso anche sognare il breve romance erotico con il giovane Niklas che un po’ la desidera, un po’ la teme per il suo atteggiamento così indecifrabile e sofferto.
Un dissidio interno che è anche quello in fondo della Svezia nella quale la ragazza cerca di nascondersi che per un po’ finge di considerarla svedese, ma che intuisce anche troppo chiaramente le sue origini lapponi.
Splendido racconto di formazione contenuto in un intenso flashback (la Cristina/Elle Marja ormai anziana che si reca al funerale della sorella ed è letteralmente costretta a ricordare), Sámi Blood è una riflessione di straordinario acume sul tema dell’identità.
Costretta a guardarsi con l’occhio degli altri, la povera Elle Marja vive sulla propria pelle il disperato calvario di scoprirsi, passo dopo passo, simile all’immagine abietta riservata a quelli come lei. Desiderosa di affrancarsi dalla sua condizione, non trova altra strada che il ripudio delle proprie origini, il battesimo sacrificale nelle acque di un fiume che la lavi dei suoi odori e dei suoi colori per restituirla all’altro in una forma che possa essere accettata.
L’ abiura traumatica della propria tradizione è reso tutto nel percorso che va dalla terribile visita medica che ne certifica le origini lapponi sulla base dei soli tratti somatici alla speranza che basti il cambio di un vestito a farla passare per svedese alta e slanciata.
E intorno a questo cuore poetico denso e dolente si incrostano tutta una serie di riflessioni sul rapporto con l’altro che passano per le contraddizioni lacerata dell’animo umano come nella scena in cui, ormai accettata a scuola, Elle Marja si ritrova con le compagne a prendere in giro il modo di vestire di alcune passanti in un passaggio di consegne che allude alla facilità con cui la vittima di un pregiudizio non esiti a passare dall’altra parte, privandosi di ogni forma di empatia, pur di essere accettata in un contesto cui pure non apparterrebbe.
Autentico dramma di un’anima in cerca di se stessa, Sámi Blood è un film intensamente bello in cui colpiscono soprattutto gli attori più giovani dalle sorelle Lene Cecilia Sparrok (Elle Marja) e Mia Erika Sparrok fino al Niklas di Julius Fleischanderl.
(Sámi Blood); Regia e sceneggiatura: Amanda Kernell; fotografia: Sophia Olsson, Petrus Sjövik; montaggio: Anders Skov; musica: Kristian Eidnes Andersen; interpreti: Lene Cecilia Sparrok (Elle Marja), Mia Erika Sparrok (Njenna), Maj Doris Rimpi (Christina/Elle Marja), Julius Fleischanderl (Niklas), Olle Sarri (Olle), Hanna Alström (Lärarinnan), Malin Crépin (Elise), Andreas Kundler (Gustav), Ylva Gustafsson (Laevie); produzione: Nordisk Film Production Sverige; origine: Svezia, Danimarca, Norvegia, 2016; durata: 110’