Essere letti è sempre, a suo modo, una specie di avventura. Il lettore scopre spesso nel testo delle intenzioni che l’autore non aveva o, in alcuni casi, non credeva di avere.
Del resto, lo diceva anche Eco, il rischio della comunicazione nasce dal sommarsi di tre intenzioni spesso in aperta contraddizione tra loro: quella di chi scrive (o parla), quella di chi legge (o ascolta) e quella del testo che ha una volontà sua, indipendente dalle altre, e una sua vita, un suo respiro, un suo perché.
Essere letti oltre le parole è, poi, il rischio particolare di chi scrive per il teatro perché la scrittura teatrale è per sua natura una scrittura transitoria. La letteratura teatrale, con buona pace dei Goldoni o dei teorici della buona scrittura per la scena, è sempre poco più che un appunto per lo spettacolo a venire. E quando un testo va in scena si riempie anche delle intenzioni degli attori, del regista, degli scenografi e dei costumisti.
In fondo scrivere senza darsi in pasto ai lettori è un esercizio sterile. È come avere uno scarabeo dentro una scatoletta di cartone che non si fa vedere mai a nessuno. Per quanto si proclami che dentro la scatola qualcosa c’è, l’esperienza diretta della presenza dell’insetto resta ferma al solo mondo degli indizi. E un leggero grattare sul cartone della scatola non è poesia, ma solo l’espressione di un malessere individuale. Perché la poesia sia occorre che l’insetto prenda il volo, che si muova, che si mostri, che punzecchi magari. Altrimenti nella scatola potrebbe esserci qualsiasi cosa. Anche niente.
Il grande privilegio che ho avuto ieri, è stato quello di essere letto da persone con uno sguardo. Non persone con una macchina fotografica (di quelle ce ne sono tante), ma con uno sguardo.
I membri dell’Associazione Oltre le immagini hanno letto Il respiro delle onde, I topi nel muro e La valigia dei destini incrociati e hanno risposto alla sollecitazione delle parole con immagini, con composizioni, con forme e qualche sporadico colore.
Hanno letto o riletto le suggestioni della pagina per farne quadri che restituissero al pubblico l’esperienza della loro lettura. Hanno ricomposto, nello spazio limpido del fotogramma i significati che avevano sentito nelle parole dei testi ormai consegnati alle librerie.
E così hanno avverato un piccolo miracolo di cui non potrò mai essere grato abbastanza, mi hanno riportato dalla condizione di scrittore a quella di lettore, mi hanno messo davanti quelle stesse impressioni che mi avevano mosso nel complesso lavoro di scrittura (per me mai facile, sempre travagliato) facendole loro e non più mie. Forse nostre.
Probabilmente per la prima volta ieri ho letto i miei libri, li ho ritrovati nel loro sguardo, li ho sentiti con più forza altro da me, esperienze che hanno ormai le loro gambe e con quelle camminano nel mondo.
E, abbandonata la pagina, quelle esperienze ora camminano anche attraverso immagini, di grande suggestione per di più.
Degli scatti realizzati dai componenti del Circolo Oltre le Immagini mi ha colpito principalmente la forte tensione alla foto pulita, all’immagine evocativa e al tempo stesso sintetica.
De I topi, ad esempio, il bianco e nero spesso brutale (che cede al colore solo nell’arancione della frutta caduta per terra) rispecchia i contrasti accesi del dramma e restituisce il senso di angoscia espressionistica che anima il tratteggio del personaggio di Anna. Anche la scena delle mani dei fantasmi che spostano le cose nel buio della stanza, pur nei colori accennati (giallo, blu, marrone) è una lotta tra il buio nero dell’oblio e il bianco abbacinante degli oggetti di arredo, muti testimoni di un orrore che nessuno vuole più raccontare.
De La valigia, lo sguardo delle fotografie predilige il tema dell’infanzia negata, l’importanza degli oggetti, delle cose, trovando una dimensione concettuale che riprende in parte l’ironia e la carica surreale di molte parti del testo.
Più delicato il caso de Il respiro delle onde in cui la musica scritta e i libri la fanno da padrona in composizioni evocative che riprendono il già tormentato (e chissà quanto davvero riuscito) tentativo del libro di raccontare più che la musica il “bi-sogno” della musica.
In questi sguardi d’autore ho davvero ritrovato le stesse ansie mie votate a un altro percorso a un altro bisogno e a un altro modo di significare.
E non so trovare le parole per esprimere la mia gratitudine a tutti i fotografi per aver voluto impastare le loro immagini con un po’ delle mie parole. E con loro ringrazio tutti quelli che hanno preso parola, dato voce, condotto, interpretato e insomma, mosso gli ingranaggi per far sì che un altro sogno raggiungesse la sicurezza di un porto.