Quello che stupisce sempre nella visione registica di Lello Serao è l’intensa polifonia che si articola nelle sue mese in scena.
I suoi spettacoli non sono mai ritratti, ma arazzi che si liberano nel tempo e nello spazio della rappresentazione senza freni o paracadute.
Più che farse argute sono salti e capriole sul tappeto elastico di una storia che non importa, in fondo, da che parte va.
Sono paesaggi affollati di persone, popolati da maschere e da grida forti, pieni di fumo e di impressione di odori e di rumori. Che volgano al dramma (come in Garage) o al gioco (come in questo caso), colpiscono sempre per la loro sensazione di folla, per la loro capacità di farsi prima di tutto coro.
Sono musica dominata da un bisogno lancinante di contrappunto. Più che di melodia si riempiono di frasi spezzate, di azioni tronche che si accavallano e si sovrappongono quasi a sfidare lo sguardo dello spettatore e la sua capacità di leggere in così tanta ressa.
Lello Serao non vuole ragionare per verticalismi e per gerarchie di personaggi. Spesso rifiuta di isolare, nel quadro complessivo, un asse prospettico che ponga un’azione sola al centro e un controscena in secondo piano e piuttosto lascia che le azioni dei singoli personaggi seguano le loro traiettorie, quasi indifferenti alla direzione più o meno obbligata del racconto.
In questo modo ogni personaggio è vivo e solo al tempo stesso. Vivo perché nasce da un gesto di rispetto, affettuoso e nobile nei confronti dell’attore che lo interpreta e gli fa dono di un vissuto, coerente ed etico nei confronti dello spettatore che è fatto libero di scegliere il suo punto di vista.
Solo perché in mezzo agli altri la sua voce si fa flebile, sempre sul punto di perdersi nell’insieme. Spesso inascoltata, come quella di Cardillo, spesso inappagata, come quella del desiderio sessuale di Pulcinella nei confronti di Luisella che arriva addirittura a sporcare il quadro d’insieme del lieto fine con una breve, ma azzecatissima stonatura.
Democrazia al lavoro, Le statue mobili, come Garage, come Giordano Bruno, come Amore e magia nella casa di Pulcinella o La leggenda del Grande inquisitore, coniuga, nello sguardo prima ancora che nei contenuti, una riflessione importante sulla convivenza, sullo stare insieme, sul coesistere di piccoli e grandi egoismi, di idee rivoluzionarie e di esigenze elementari. E ci lascia come spettatori, dopo le lacrime e i sorrisi, a chiederci (se solo lo vogliamo) perché sia così difficile vivere in questo mondo che pure abbiamo costruito noi, un mattone alla volta, con le nostre scelte quotidiane.
Da parte sua Lello Serao risponde alla domanda con un gesto che precede lo spettacolo e che diventa una condizione al suo stesso essere: l’aprirsi, pieno di fiducia, ai giovani.
Un pensiero, al fondo, che già respirava grande nella scelta del lieto fine di Garage, dove solo ai ragazzi era concesso il lusso di sognare e che qui diventa addirittura pratica applicata alla scena.
In Le statue movibili, infatti, con enorme generosità artistica, ogni speranza è affidata ai giovani. Non solo perché sono i ragazzi, in conclusione di racconto, a prendere in mano le redini del lieto fine, ma perché è sugli attori giovani che si fa affidamento per portare avanti lo spettacolo. Sono loro a caricarsi di utopia riempiendo lo spettacolo di un’energia a stento trattenuta.
Tutto il senso dell’operazione sta nell’affidarsi. E la straordinaria bellezza di Le statue movibili dipende da questo aver capito che non c’è senso di tradizione se non si passa per le mani dei più giovani. Perché solo così è possibile guardare il passato con occhi nuovi.
Quello di Lello Serao non è un passaggio di consegne, né è il gesto di uno staffettista che esaurisce il suo tratta di gara consegnando un pezzo di legno a gambe più fresche. Piuttosto è il gesto paterno e sollecito che cerca di riempire un vuoto in un teatro sempre più dominato dalla sola competizione.
Così lo spettacolo diventa incredibilmente giovane, frizzante, pieno di movimento e di brillanti intuizioni. E le apparizioni di Niko Mucci, Nunzia Schiano e Ciro Pellegrino si fanno intarsi lussuosi su un legno fresco e morbido. Diventano quasi dei gesti eleganti, di mestiere consumato, caldi come un cordiale e preziosi come l’oro. Non potrebbe essere diversamente visto che ce li porgono attori che gli basta un movimento delle sopracciglia per riempire la scena.
Da parte loro i giovani non sono da meno. E se stupisce soprattutto Biagio Musella con il suo Pulcinella è solo perché ha sulle spalle una maschera con una tradizione più pesante. E non si può in questa sede non citare la scena del sogno di Pulcinella (uno dei topoi più resistenti della maschera), che si risolve in un assolo sostenuto da una grande padronanza di corpo e voce che lascia bene sperare per il prossimo futuro.
SENZA SIPARIO
Stagione del teatro d’attore
17 gennaio ore 20:30 – 18 gennaio ore 18:00
Teatro Remigio Paone, Formia
produzione Libera Scena Ensemble
LE STATUE MOVIBILI
da Antonio Petito
libero adattamento Lello Serao
con Ciro Esposito, Daniela Ioia, Daniele Marino, Niko Mucci, Biagio Musella,Ciro Pellegrino, Nunzia Schianomusiche Niko Mucci e Luca Toller
scene a cura degli allievi dell’Accademia di Belle Arti, diretti da Tonino di Ronza
costumi Annamaria Morelli
regia Lello Serao