Il Barocco: quale fucina inesauribile di sperimentazione! Quale continuo e costante lavoro di cesello sulle possibilità strumentali oltre che strutturali e compositive! Quale libertà di invenzione così perfettamente calibrata con un mai sopito bisogno di struttura!
La bellezza del programma offerto al Teatro Remigio Paone all’interno della stagione concertistica promossa dal Teatro Bertolt Brecht di Formia e dai Teatri Riuniti del Golfo, risiede, in fondo, proprio nella straordinaria varietà di soluzioni, stili e concezioni pur nel permanere, invariato, dello stesso organico: due flauti e il basso continuo del clavicembalo.
Un organico, questo, che esalta la dinamica affettuosa di una prassi caratterizzata dal gesto disteso di un virtuosismo teso a restituire il senso di una musica metamorfica, continuamente cangiante, che riverbera suoni come i cristalli la luce.
Questo pur nella diversità, si diceva, degli stili compositivi degli autori presentati che andavano dalla complessità contrappuntistica della pagina di Bach padre, al gusto meno contrappuntistico e più melodico del fraseggio di Bach figlio, sino alla spumeggiante freschezza inventiva di Telemann.
Dalla Chiesa al Teatro in un certo senso, visto che la sonata di Johann Sebastian Bach si fonda sulla classica struttura quadripartita della sonata da chiesa italiana, con la consueta alternanza tra l’artificiosità contrappuntistica dei movimenti veloci e la severa cantabilità dei movimenti lenti, mentre le opere di Telemann e Bach figlio corrono in modi diversi verso l’opera. E mentre il primo gioca di disimpegno con la consueta leggerezza del dilettante poco serioso che pensa prima a scrivere per l’esecutore e poi all’effetto sul pubblico, il secondo insegue la cantabilità di una musica che già anticipa modelli classici pur rimanendo figlia del suo tempo.
In fondo quel che accomuna questi tre mondi sonori tra loro così distanti, pur se legati tra loro dalla relativa vicinanza cronologica e geografica, è proprio l’idea di una musica nata per essere ascoltata prima di tutto da chi la suona. Non le folle oceaniche della sinfonia romantica, quindi, né il pubblico rumoroso dell’opera lirica, ma pochi intimi eletti uniti dal piacere di una musica che è tanto bello leggere quanto ascoltare.
Maxence Larrieu, Salvatore Lombardi e Pierfrancesco Borrelli restituiscono, prima ancora che la preziosità delle pagine che hanno scelto, il clima affettuoso del loro suonare insieme. E per questo, pur rimanendo nel fermo rispetto di una prassi esecutiva libera da ogni bisogno di eccessiva brillantezza, restituiscono all’anima filologica dell’esecuzione una sensazione di umanità che intiepidisce il cuore.
Una sensazione che, forse, tocca i suoi vertici proprio nella sonata di Bach padre che pure ha di suo una storia esecutiva varia e importante e in cui ci sorprende la varietà di nuance e di colori pur nella limpida geometria di una pagina ideale per il flauto malgrado le varie versioni che il compositore aveva approntato nel suo continuo bisogno di sperimentazione.
13 dicembre 2014 – ore 20.30
TRIOSONANTE
Maxence Larrieu (flauto), Salvatore Lombardi (flauto), Pierfrancesco Borrelli (clavicembalo)
PROGRAMMA
J.S. Bach (1685-1750)
Triosonata in Sol Magg. BWV1039
Adagio, Allegro ma non presto, Adagio e piano, Presto
C. Ph. E. Bach (1714-1788)
Triosonata In Re min. Wq 145
Allegretto, Largo, Allegro
Triosonata in Mi Magg. Wq 162
Allegretto, Adagio di molto, Allegro assai
G. Ph. Telemann (1681-1767)
Triosonata In Mi min.
Affettuoso, Allegro, Grave, Allegro