Addii – Carlo Lizzani

Carlo Lizzani se ne è andato.

Come per Monicelli non troppo tempo fa, la sua è stata una scelta che ci lascia più poveri, con una stella in meno ad aiutarci, naviganti, a ritrovare la rotta di casa.

 

Nel buio della notte la sua stella ha disegnato una piccola parabola verso il basso che con dignità ha, per un momento, illuminato un cielo sempre più buio.

 

Perché l’amara verità con cui stiamo troppo facilmente imparando a convivere è che per ogni Lizzani che se ne va non ce n’è poi un altro a prendere il suo posto e che al necrologio scritto anche frettolosamente, dopo il lutto inatteso, non c’è quasi mai una corrispondente iscrizione per un nuovo autore che nasce o per un film che, a modo suo, segna un corso nuovo.

 

Così parlare oggi della morte di Lizzani equivale a parlare della nostra stessa morte, del nostro lento, ineluttabile abituarci al peggio.
E se questo grigio stinto, sempre più tendente al nero non è stato il motivo principale della sua scelta, esso resta, però la nostra colpa nei suoi confronti, il non essere stati alla sua altezza e, ancora oggi, il non porcelo abbastanza come un problema.

 

Lizzani è stato un regista cinematografico di quelli sopraffini. Ha dato i natali a opere belle e complesse come Cronache di poveri amanti e Achtung! Banditi!, film in cui ha saputo unire alla lezione di stile il bisogno di un impegno politico. Del resto la sua scuola è stata il neorealismo quando i panni sporchi non si potevano lavare in famiglia e quando lo sguardo era prima di tutto una questione morale.
Come suonano strane queste parole nell’epoca delle reti generaliste e delle televendite imperanti!

 

Lizzani è stato anche uno sceneggiatore di calibro, capace di dare al gesto di scrivere e pensare un film un’aura autoriale paradossale in un paese in cui l’improvvisazione è sempre stata la parola d’ordine e in cui si è sempre pensato che l’autore di un film fosse il regista e lui solo, senza condivisioni.

 

Lizzani è stato un direttore di Festival di quando i Festival erano ancora spazi di ricerca in cui il glamour era un ingrediente, ma non il solo. Un tempo d’oro in cui sul red carpet passava il regista prima del divo, il film prima del gadget. E ha fatto, in quel tempo, una serie di Venezie certo criticabili, ma se non altro Festival, eventi che scavavano nel film in cerca di Cinema.

 

Lizzani è stato, infine, un critico ai tempi in cui essere critici significava avere, ogni tanto, anche le prime pagine dei quotidiani. Tempi in cui la critica era esercizio di un pensiero e non l’assegnazione di stellette più o meno arbitrarie. Tempi in cui quel che contava era il dibattito culturale e non l’asservimento ad un meccanismo di sfruttamento commerciale che esaurisce il suo ciclo a una settimana dall’uscita in sala per poi sparire nella pirateria, nel file sharing e nel “tanto poi lo scarico da Internet”.

 

Oggi, invece, nei tempi in cui il cinema italiano si è adagiato sulla commedia a solo uso nazionale e in cui la critica si è ridotta a blog di opinioni, scomparendo pure dalle università perché gli iscritti preferiscono la televisione a Hitchcock e Spielberg, la dipartita di Lizzani ci suona come uno schiaffo in piena faccia.
Ci fa male non perché perdiamo un autore importante, ma perché ci lascia con l’amara consapevolezza di non essere stati alla sua altezza quando ancora poteva fare una differenza. E con l’orrore del sospetto che per molti questa differenza non è poi così importante.

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