Raimi esordisce nel basso costo e in questo mondo a parte, contraddittorio, oscillante tra capolavori epocali e baracconate gratuite, muove i suoi primi passi. La sua poetica è quella dell’eccesso, dei salti di tono, del grottesco portato ai limiti del sopportabile, in un gioco tutto rivolto verso il pubblico. È il cinema del baraccone, quello della fiera di paese in cui non ha tanto importanza la continuità narrativa, ma la trovata spiazzante, quella che fa saltar su dalle poltrone.
La casa (Evil Dead) è la sintesi più compiuta di questo tipo di cinema. È quel genere di film che va visto con le mani sugli occhi, le pupille dilatate dietro le fessure delle dita. Riottoso e suggestionato, lo spettatore guarda suo malgrado, possibilmente ingurgitando pop-corn, e se poi li vomita in un eccesso di ribrezzo, tanto meglio! Come ogni sintesi suprema, però, La casa non permette al suo autore di andare oltre in quella direzione. Il secondo episodio, infatti, non è classificabile né come sequel (sarebbe assurdo) né come remake; esso è, piuttosto, una variazione su tema come può farla uno che pensa di avere già detto tutto, ma che vuole, comunque, trovare qualcosa di nuovo. E il terzo episodio (L’armata delle tenebre) è già tutto dentro un altro mondo; di fatto: un altro film.
Non bisogna aspettare Soldi sporchi per parlare di una conversione al classicismo da parte di Raimi per almeno due buoni motivi. Il primo è che, se conversione c’è stata essa era già tutta dentro La casa II che, ripetendo lo schema del suo predecessore sanciva la continuità di una sorta di tradizione (e dietro gli eccessi c’era, poi, la fiaba di sempre). Il secondo è che conversione, in effetti non c’è mai stata. Il passaggio dal basso costo di La casa alle ben più sostanziose produzioni di Darkman o di Pronti a morire ha, sì, smussato taluni eccessi, ma non ha veramente cambiato le regole del gioco. Non è necessario cercare in Soldi sporchi sequenze deliranti per poter dire che è sempre un film di Raimi. Basta vedere come il regista si appropria del genere, come gioca con gli stereotipi per capirlo davvero. Per lui il Cinema è, in ultima analisi, come il castello degli specchi deformanti in una fiera: se l’immagine alla parete muta radicalmente di stanza in stanza, il soggetto riflesso dai vari specchi resta sempre e comunque lo stesso. E il classicismo è solo uno specchio tra i tanti. E alla domanda “Neoclassico Raimi?” rispondiamo “Sì! Come potrebbe esserlo Strawinskij”.